Focus. Sardine e dintorni

di Alberto Battaggia

Abstract. L’imprevisto movimento delle “sardine” è stato interpretato in molti modi diversi. L’obiettivo principale, per ora, è la critica al populismo, inaugurato da Berlusconi tanti anni fa ed esploso negli ultimi anni dopo la crisi economica. Esso viene criticato per le forme esasperate della comunicazione politica e per le proposte che appaiono spesso irresponsabili. Alcuni osservatori hanno minimizzato la portata del movimento, ma altri lo ritengono un fenomeno molto rilevante, potenzialmente decisivo, a patto che sappia darsi degli obiettivi politici più precisi.

E’ iniziata la pesca. Chi infilerà nell’amo l’interpretazione giusta? Una massa di ex grillini e pidioti manovrati dalla Spectre democratica di Prodi? Una tardiva manifestazione dell’ “operaio sociale” di toni-negriana memoria? La versione nazionale dei gilet gialli parigini? I figli istruiti dei Forconi? Una diversione politicamente corretta del popolo degli spritz? Nel frullato delle sentenze socio-politico-antropologiche apparse in questi giorni, sarebbe già tanto riconoscere alcuni dati di fatto della cosa. Due, in particolare, l’articolazione geografica: Bologna, Verona, Milano, Treviso, Padova, Foggia, Cagliari, Roma, Parigi, Berlino, (sic!)…; e i numeri: 6000, 5000, 6000, 3000, 5000, 10,000, 50.000, 1000, 1000… dai tre zeri in sù. Se tutto ciò fosse il frutto di una sapiente regia neomassonica, o di una squadra di giovani esperti di marketing politico in salsa rossa, beh, i guai per la sinistra sarebbero finiti, la crisi del pd una finta per smarcarsi e Salvini sarebbe bello che fritto.

Le sardine a Verona il 28 novembre scorso
Il servizio di Rai3 sull’evento

Contro i populismi

Ma non è così. La distribuzione e le dimensioni del fenomeno ci dicono che è nato qualcosa di nuovo e di diverso. E destinato a trasformarsi. Qualcosa che rimanda al modo in cui le tecnologie plasmano la realtà (il medium come messaggio, diceva McLuhan; la società liquida, diceva Bauman); e ad un sentimento di massa che trasforma la correttezza civica – un valore deboluccio, in tempi normali, sul mercato politico- in un ariete potenzialmente formidabile, Perchè questi nostri tempi – italiani, europei, americani – non sono affatto normali. Sono i tempi del populismo. Dei dazi protezionistici di Trump, della Brexit di Johnson e Farage, dell’autoritarismo illiberale di Orban, dei rosari roteati da Salvini, della democrazia cliccata di Rousseau. Di una demagogia sfrontata, incosciente, pericolosa. Non abbiamo a che fare con un superabile problema estetico. Sotto questo profilo, la china era iniziata più di venti anni fa, quando le televisioni del Cavaliere iniziarono a commercializzare senza pietà anche l’immaginario politico degli italiani. Siamo abituati ai rituali della società di massa. No, stiamo parlando di contenuti, di sciagurate proposte realizzabili. I recenti populismi nostrani hanno messo in discussione aspetti nodali della democrazia repubblicana: uscire dall’Euro; non riconoscere il debito pubblico; scardinare le casse dell’Inps; promuovere l’assistenzialismo; abbandonare l’atlantismo cardinale della nostra democrazia; banalizzare il rispetto dei diritti umani; sventolare i crocifissi come idoli pagani. Un’azione devastante, condivisa per opportunismo anche da chi – come Berlusconi e ciò che resta di FI – avrebbe dovuto dissociarsi, nauseato, in nome dell’etica liberale: perché la politica è civile dialettica democratica, non il circo delle belve.

Un patrimonio ideale universalistico

Qualcuno osserva come sia insensato manifestare contro l’opposizione. Non sarebbe un’obiezione infondata. Ma nessuno ha avvertito in queste piazze un inno gioioso all’esecutivo giallorosso, un intento propagandistico. Pur essendo nate in Emilia per sostenere Bonaccini contro la Borgonzoni, le sardine hanno accumulato, strada facendo, un patrimonio ideale universalistico, finendo per rivolgersi al mondo politico tradizionale nel complesso. Tanto che gli stessi partiti di maggioranza hanno mostrato nei loro confronti una imbarazzata prudenza. Una dichiarazione d’amore, piena di cautele, è arrivata da Zingaretti solo il 20 dicembre, in un’intervista al “Corriere della Sera”. Le istanze sardiniane rinviano ad una concezione della democrazia trasversale, costituzionale, che tutte le forze politiche dovrebbero condividere: “I ministri governino e non utilizzino il ruolo per fare propaganda elettorale permanente; le persone disperate, anche se nere, siano aiutate; si smetta di aggredire gli avversari politici con la bava alla bocca; si governi con competenza ed onestà…”. Troppo poco? No, sufficiente, almeno per ora. Quando il gioco democratico deraglia per l’irresponsabilità dei suoi attori, il richiamo alle regole è una salutare iniezione di realismo. E dopo? Vedremo. Saranno settimane e mesi delicatissimi, i prossimi, per il movimento. Le energie messe in movimento dovranno coagularsi attorno ad una piattaforma politica più precisa, pena l’estinzione.. Emergeranno visioni diverse della realtà, motivazioni concorrenti, ragioni specifiche di dissenso. Un movimento allo stato nascente è una massa fluida di forze che attendono di essere incanalate. Non è scontato che questo accada. Quanti movimenti, alla prova decisiva, sul campo delle opzioni politiche, si sono dissolti? Per mancanza di leadership, per incapacità di dialogo, per vaghezza dei fini. Molto dipenderà anche dall’atteggiamento dei partiti. Chi avrà interesse a parlare con le sardine, a rendersele amiche senza fagocitarle? Il partito democratico sta elaborando una strategia di corteggiamento? Sarà interessante seguire l’atteggiamento dei 5 stelle, dopo le aperture di Grillo. I pentastellati, sbigottiti, dovranno pur riflettere su queste piazze strapiene senza vaffa, corde per gli impiccati e bava alla bocca. Ma forse accadrà qualcosa di diverso.

PARERI ESPERTI

Nadia Urbinati,
Politologa, Columbia University

Altro che populismo, questo è un movimento maturo

Mauro Calise
politologo,Unimi


“Sardine un fenomeno nuovo, è una rete massiccia dal basso”

Alessandro Campi vs Giulio Gambino
Politologo Unipg e direttore TPI, rispettivamente

“Un corpo intermedio tra società e politica”; “privi di interessi sociali riconoscibili”

“Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’.“ Il Principe, cap. XVIII

Oggi così. E dopo?

Nell’universo proteiforme dei movimenti digitalizzati, le sardine potrebbero diventare interlocutrici trasversali, elaborando delle piattaforme programmatiche mobili mirate sulla concretezza degli obiettivi, costringendo ora l’una ora l’altra delle forze politiche organizzate a farsene carico e mobilitandosi improvvisamente su questo o quel tema. Lo ha intuito, per esempio, Maria Carfagna, che ha riconosciuto “buone idee” nel movimento o, per rimanere a Verona, Flavio Tosi, per il quale “c’è un’Italia trasversale e civica che si oppone alla grossolaneria”. Insomma, i pescatori delle sardine potrebbero essere diversi ed inaspettati.

I sei punti del programma. Per ora

1. Chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare.
2. Chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente nei canali istituzionali.
3. Serve trasparenza dell’uso che la politica fa dei social network.
4. Il mondo dell’informazione traduca tutto questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti.
5. La violenza venga esclusa dai toni della politica in ogni sua forma. La violenza verbale venga equiparata quella fisica.
6. Abrogare il decreto sicurezza.

I sei punti sono stati dichiarati dai portavoce del movimento il 14 novembre 2019 nella manifestazione di Piazza San Giovanni a Roma.

La lettera a La Repubblica (20 dicembre)

20 dicembre 2019
di di Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Giulia Trappaoloni, Mattia Santori,

I fondatori delle Sardine firmatari della lettera


Caro direttore, il 14 novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Roberto in ufficio, Giulia in ambulatorio, Mattia in palestra, Andrea in piazza a farsi carico delle questioni logistiche. “Ma non dovresti essere qui, dovresti essere in piazza a preparare per stasera” ci veniva detto da clienti, pazienti, mamme e colleghi. Dopo poche ore piazza Maggiore sarebbe stata strabordante di Sardine. In una misura che nessuno prevedeva, tantomeno noi. Nella notte, le foto di quella piazza avrebbero fatto il giro del mondo. La mattina seguente le Sardine erano già un fenomeno mediatico di portata internazionale, ma noi non lo sapevamo. Sardine, lettera a Repubblica dei quattro fondatori: “Noi e la libertà di non fare un partito”
Avevamo scatenato un maremoto a nostra insaputa. Imprevisto quanto insperato. Quei giornalisti che nei giorni precedenti ci avevano ignorato sarebbero diventati la nostra ombra. È buffo ripensare a quanto fossimo infastiditi da quell’unica telecamera presente a Bologna. “La piazza non ha bisogno di eroi”, rivendicavamo con convinzione. Tre giorni dopo, a Modena, le telecamere sarebbero state una dozzina. Un mese dopo, a Roma, un centinaio. Ma ripartiamo dall’inizio.
Il 15 novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Ma il telefono squilla e su Facebook spuntano i primi tre eventi spontanei: Modena, Firenze, Sorrento. Nel marasma generale troviamo un secondo per confrontarci e prendiamo una decisione che ci avrebbe sconvolto la vita. Decidiamo che l’Emilia-Romagna non è la sola terra in cerca di un modo per esprimere un sentire diffuso e diamo vita a un coordinamento nazionale, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di un fenomeno culturale e sociale di resistenza all’avanzata del populismo e dei suoi meccanismi di attecchimento. Ci è chiaro fin da subito che questo fenomeno deve rimanere in tutto e per tutto spontaneo, nutrirsi della ritrovata voglia di partecipare delle persone, e al contempo riproporre ogni volta, in chiave locale, le emozioni di piazza Maggiore. Trovavamo giusto che il messaggio di rivalsa e speranza lanciato a Bologna potesse rivivere in tutte le piazze d’Italia. Ed era bello che questo avvenisse tramite persone che fino a quel momento non si erano mai conosciute tra loro. La forza delle Sardine è collegare il virtuale al reale, e non c’era niente di meglio che favorire la nascita di un fenomeno sociale fatto di individui in carne e ossa, capaci di mostrare che le piazze, virtuali e reali, sono di tutti. La squadra bolognese si è allargata e questo ci ha permesso di rispondere alle centinaia di mail e messaggi che ricevevamo – e che tuttora riceviamo – ogni giorno. Lo schema per gli organizzatori era semplice: prendi contatto con i bolognesi, valuta i suggerimenti, procurati i documenti necessari, lancia l’evento su Facebook, lavora per riempire la piazza di persone e contenuti, stupisciti di quanto la tua città sia migliore di come te l’aspettavi. Una volta lanciato, l’evento viene inserito nel calendario ufficiale della pagina “6000sardine” e un referente per piazza aggiunto alla chat nazionale. Il 14 dicembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia, solo con tante ore di sonno perse. Dopo piazza San Giovanni era tempo di fare due calcoli. In 30 giorni si erano riempite 92 piazze in tutta Italia, a cui si sono aggiunte 24 piazze estere, europee e statunitensi. Circa mezzo milione di persone sono uscite di casa, al freddo e sotto la pioggia, per dire che la loro idea di società non rispecchiava per nulla quella presentata dall’attuale destra italiana, quella stessa destra che non perde occasione per affermare di avere il popolo dalla sua parte. Hanno raggiunto piazze fidandosi di un invito giunto in maniera anonima. Talvolta non sono neanche riuscite a raggiungerle per via della massa che occupava gli ingressi, come a Firenze. Spesso, raggiunta la piazza, non sono riuscite ad ascoltare cosa veniva detto, letto o cantato, perché l’impianto audio non era adeguato. Eppure c’erano. Hanno voluto esserci. Corpi fisici in uno spazio. L’unico elemento non manipolabile in un mondo pervaso dalla comunicazione “mediata”. C’è chi ha provato a dire che la foto di Bologna risaliva a un capodanno, chi ha affermato che a Roma c’erano solo 35.000 persone. Ma troppa gente poteva provare il contrario, troppi occhi, troppe orecchie, troppi cuori potevano riaffermare la verità. Ogni piazza è stata diversa: per età, genere e provenienza politica. Nonostante gli attacchi e le sirene del populismo abbiano iniziato a mitragliare, le persone si sono fidate, hanno continuato a fidarsi. E lo hanno dimostrato diventando Sardine e riempiendo le piazze. Dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia. Dai feudi rossi alle roccaforti leghiste… Contribuendo ad inondare i giornali, i social e il web di foto di piazze gremite. Il 15 dicembre eravamo 150 persone come ce ne sono tante in Italia. Solo con tante ore di sonno perse e il portafoglio più vuoto del solito. Operai, studenti, insegnanti, professionisti, precari, disoccupati. Militanti, ex politici, disillusi, attivisti, volontari. Un muro di giornalisti fuori, molta semplicità dentro. Tante facce nuove. Forse troppe. Spazi spartani e molto freddo. Sensazione da primo giorno di scuola, gente troppo adulta per poterci essere abituata. Ma la classe è numerosa e ci accorgiamo subito che le cose che ci uniscono sono molte di più di quelle che ci dividono. Che in qualche modo siamo sempre stati fratelli e sorelle, solo non ci eravamo mai conosciuti. Ci organizziamo in tavoli di lavoro geografici e scopriamo che l’integrazione è più facile a dirsi che a praticarsi. Ma ci serve. Nessuno è portatore di verità assolute e il dialogo, che passa dall’ascolto, è l’unica sintesi di quelle differenze che, contaminandosi, rimarranno tali anche dopo essersi confrontati. Ci diamo una strada comune: tornare nelle piazze, nelle strade, nei territori. E, quando dopo un’ora, ci ritroviamo nell’auditorium per presentare le proposte, è un’emozione dietro l’altra. Ogni iniziativa scatena un applauso, suscita speranza, ci avvicina. La strada è lunga, lo sappiamo. La fretta è il nostro più grande nemico, sappiamo anche questo. Tutto sta nel trovare il ritmo giusto e soprattutto nel mantenere, proteggere e curare quel dialogo che ci ha permesso di vivere e condividere una mattinata che rimarrà nei nostri cuori per sempre. A prescindere da quello che sarà. Il 20 dicembre siamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Il processo che abbiamo contribuito a creare sarà lungo ma intanto è iniziato. E per quanto possiamo essere qualcuno all’interno delle piazze, dei nostri collettivi e dei nostri circoli, non siamo nessuno all’interno di questo processo. Le sardine non esistono, non sono mai esistite. Sono state solo un pretesto. Potevano essere storioni, salmoni o stambecchi. La verità è che la pentola era pronta per scoppiare. Poteva farlo e lasciare tutti scottati. Per fortuna le sardine le hanno permesso semplicemente di fischiare. Non è stato grazie a noi, né tantomeno a chi ha organizzato le piazze dopo di noi. È stato grazie a un bisogno condiviso di tornare a sentirsi liberi. Liberi di esprimere pacificamente un pensiero e di farlo con il corpo, contro ogni tentativo di manipolazione imposto dai tunnel solipsistici dei social media. La condivisione dello stesso male ci ha resi alleati coesi, ha unito il fronte. Le proteste sono frequenti come stelle cadenti, le rivolte sono rare come le eclissi. L’Italia è nel mezzo di una rivolta popolare pacifica che non ha precedenti negli ultimi decenni. Chi cercherà di osteggiarla sentirà solo più acuto il fischio, chi tenterà di cavalcarla rimarrà deluso.La forma stessa di un partito sarebbe un oltraggio a ciò che è stato e che potrebbe essere. E non perché i partiti siano sbagliati, ma perché veniamo da una pentola e non è lì che vogliamo tornare. Chiedere che cornice dare a una rivolta è come mettere confini al mare. Puoi farlo, ma risulterai ridicolo. Noi ci chiediamo ogni giorno come fare, e ci sentiamo ridicoli, inadatti e impreparati… ma finalmente liberi.

6 commenti su “Focus. Sardine e dintorni

  1. Davvero un bellissimo focus. Molti non sanno accettarlo, ma c’è ancora gente disposta a farsi sentire e che non vuole cedere.

  2. Ottimo articolo ! Spiega perfettamente il pensiero e la situazione attuale delle Sardine.
    Per tutti quelli che non le hanno capite, le disgustano o le insultano consiglio di dare una bella letta a questo focus prima di iniziare a parlare…

  3. Come dice Urbinati “il movimento è maturo”, e questi ragazzi sono in gamba. Mi riconosco nei 6 punti che hanno “fissato”, nella prudenza che manifestano, nella manifestazione pacifica delle posizioni contrastando la violenza verbale del mondo politico. Sono antifascisti, e sostenitori critici della sinistra (senza specificare, a ragione). Infine, hanno il grande merito di avere riacceso la speranza in molte persone disilluse e rassegnate.
    bravi, dovremmo esser loro riconoscenti.

    1. Sono d’accordo. Penso anch’io che sia sbagliato chiedere loro di avere posizioni precise su questo o quel problema specifico. Tutti hanno capito la sostanza del loro movimento: rivendicare esigenze di civiltà anche all’agire politico.

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