La città che sale. L’opera. Boccioni a Verona

La città che sale

La città che sale, 1910

La città che sale è un dipinto a olio su tela (199,3 × 301 cm) realizzato a cavallo tra il 1910 ed il 1911. Nel 1912 il quadro fu acquistato dal musicista Ferruccio Busoni nel corso della mostra d’opere futuriste itinerante in Europa. È oggi esposto al Museum of Modern Art di New York. Il bozzetto preparatorio è esposto nella collezione della Pinacoteca di Brera a Milano. Per dipingere quest’opera Boccioni prese spunto dalla vista di Milano che si vedeva dal balcone della casa dove abitava. Il titolo originale era Il lavoro, così come apparve alla Mostra d’arte libera di Milano del 1911. Nonostante la presenza di elementi realistici come il cantiere o la costruzione, ed ancora la resa dello spazio in maniera prospettica, il dipinto viene considerato la prima opera veramente futurista del pittore reggino, pur non discostandosi molto dai quadri analoghi degli anni precedenti, nei quali le periferie urbane erano il soggetto principale. In questo dipinto viene parzialmente abbandonata la visione naturalistica dei quadri precedenti, per lasciare il posto ad una visione più movimentata e dinamica. Si coglie la visione di palazzi in costruzione in una periferia urbana, mentre compaiono ciminiere e impalcature solo nella parte superiore.

Umberto Boccioni, YouTube 41’27”
La città che sale, YouTube, 4’56”

Gran parte dello spazio è invece occupato da uomini e da cavalli, fusi esasperatamente insieme in uno sforzo dinamico. In tal modo Boccioni mette in risalto alcuni tra gli elementi più tipici del futurismo, quali l’esaltazione del lavoro dell’uomo e l’importanza della città moderna plasmata sulle esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro. Ciò che mette il quadro perfettamente in linea con lo spirito futurista è però l’esaltazione visiva della forza e del movimento, della quale sono protagonisti uomini e cavalli e non macchine. Questo è ritenuto un particolare che attesta come Boccioni si muova ancora nel simbolismo, rendendo visibile il mito attraverso l’immagine. Ed è proprio il “mito” ciò che l’artista modifica, dunque non più arcaico legato all’esplorazione del mondo psicologico dell’uomo, ma mito dell’uomo moderno, artefice di un nuovo mondo. In parole povere l’intento dell’artista è di dipingere il frutto del nostro tempo industriale. Il soggetto dunque, da raffigurazione di un normale momento di lavoro in un qualunque cantiere, si trasforma nella celebrazione dell’idea del progresso industriale con la sua inarrestabile avanzata. Sintesi di ciò ne è il cavallo inutilmente trattenuto dagli uomini attaccati alle sue briglie.

La mostra di Verona del 1986

Umberto Boccioni

Nato a Reggio Calabria nel 1882, Boccioni è il teorico e il principale esponente del movimento futurista. Trasferitosi a Roma nel 1899, Boccioni diventa allievo di Giacomo Balla, insieme a Gino Severini. Per sfuggire l’atmosfera provinciale italiana, Boccioni intraprende una serie di viaggi in Europa, grazie ai quali entra in contatto con le nuove tendenze artistiche e pittoriche, dallo Sturm und Drang ai preraffaelliti inglesi. Tornato in Italia, si stabilisce a Milano, dove conosce Marinetti e si avvicina all’avanguardia futurista. Nel 1910 scrive con Carlo Carrà e Luigi Russolo il “Manifesto dei pittori futuristi ” ed il “Manifesto tecnico della pittura futurista”. L’obiettivo dell’artista moderno deve essere, secondo gli autori, liberarsi dai modelli e dalle tradizioni figurative del passato per volgersi risolutamente al mondo contemporaneo, dinamico, vivace, in continua evoluzione. Muore proprio quando, da qualche anno, aveva iniziato ad allontanarsi dal futurismo, per esplorare soprattutto nella scultura i criteri estetici del cosiddetto dinamismo plastico.


L’influsso di Gaetano Previati come si vede è ancora evidente nelle pennellate filamentose e nella tecnica divisionista, le pennellate tratteggiate hanno infatti andamenti ben direzionati e funzionali al mettere in evidenza le linee di forza che caratterizzano il movimento delle figure, non quindi alla costruzione di masse e volumi, anche se i tratti pittorici sono qui volti a dare dinamicità ai volumi fino a far perdere loro consistenza e peso. (Wikipedia)

L’ultima cavalcata

17 agosto 1916. La morte di Boccioni, 1’25”

Erano le 20 circa del 16 agosto 1916 quando il soldato Umberto Boccioni cadeva incidentalmente da cavallo presso la località Sorte del Chievo, in via Boscomantico, nei pressi di Verona, dove era stanziato il suo reparto. All’alba del giorno dopo, in un letto dell’Ospedale militare di Verona, si spegneva uno dei più grandi artisti del Novecento.

La località Sorte, nel quartiere Chievo,
La lapide storica posta nel luogo dell’incidente
Il luogo del’incidente, in via Boscomantico
Le lapidi aggiunte nel centenario della morte

L’artista si era arruolato volontario nell’esercito italiano nel 1915, all’entrata in guerra del nostro Paese, combattendo nel Battaglione ciclisti di Gallarate sul fronte alpino insieme con i suoi compagni futuristi Marinetti, Sironi, Sant’Elia. Congedato, era stato richiamato sotto le armi il 24 luglio 1916 e, essendo ancora residente a Padova, assegnato al XXIX Reggimento di Artiglieria da Campagna. Non aveva accolto con entusiasmo il nuovo incarico. Anche se aveva condiviso con Filippo Tommaso Marinetti il giudizio della guerra come “igiene il mondo”, aveva dovuto interrompere i suoi lavori, che, dopo l’interruzione dell’anno prima, erano ripresi con grande entusiasmo. Concluso il ritratto del maestro Ferruccio Busoni, dipinto in giugno a Pallanza sul Lago Maggiore, dov’era stato ospite dei marchesi Casanova, si era lamentato con colleghi e amici che avrebbe preferito soddisfare la ritrovata creatività. Temeva anche per il sostentamento della madre, malata da tempo, qualora fosse caduto in guerra.
L’incidente era stato frutto della sua imperizia. Boccioni aveva rappresentato in molte sue opere i cavalli, simboli, nella cultura artistica primonovecentesca, di potenza e ardore: si pensi a La città sale, Elasticità; alla scultura Dinamismo di cavallo in corsa + casamenti; ma era del tutto a digiuno di equitazione.

Elasticità, 1912
Dinamismo di un cavallo in corsa + casamenti, 1915

Solo Dopo qualche settimana di addestramento alla caserma della Sorte, l’artista aveva richiesto di poter montare uno dei bai da tiro in dotazione al reggimento di artiglieria. I biografi suggeriscono che il suo interesse fosse dipeso da motivi sentimentali. A Pallanza aveva infatti intrecciato una relazione amorosa con la nobildonna Vittoria Colonna che, da tradizione, amava svolgere lunghe passeggiate a cavallo. Come rinunciarvi? L’ultima lettera a Vittoria fu scritta nel pomeriggio di quel tragico giorno quasi presagendo quello che stava per accadere: «Gentile Amica, ho atteso anche oggi la posta e non ho ricevuto nulla. Non posso  arrivare a capire. Siete ammalata? Vi annoia rispondere? Vi hanno annoiato le mie? Cos’è accaduto? Non comprendo! Vivo in un orgasmo che non mi dà pace. Non ho nemmeno la forza di stare a cavallo […]». Verso sera, forse per distrarsi, aveva invitato alcuni commilitoni ad una passeggiata a cavallo e con loro si era fermato alla Trattoria La Sorte, l’unica osteria dei dintorni. Di lì, l’artista aveva deciso di muoversi verso Verona per andare incontro a Giorgio Ferrante, un poeta e pittore veronese presentatogli dalla sorella Amelia, che viveva nella città scaligera e con il quale aveva appuntamento all’osteria. Dopo alcune centinaia di metri, nei pressi di un passaggio a livello, forse innervosito dal rumore di un autocarro, Vermiglia, il cavallo montato da Boccioni, imbizzarrì e disarcionò l’artista, che cadde a terra sbattendo violentemente il capo. Il suo corpo tramortito fu ritrovato da una contadina e trasportato all’ospedale militare di Verona, dove l’artista morì il giorno successivo a causa delle gravi ferite riportate. Nella giacca, l’ultima lettera per Vittoria Colonna.
Giorgio Ferrante portò i fiori ogni anno sulla sua tomba all’interno del Cimitero Monumentale di Verona,  fino al 1990, quando morì. La madre dell’artista, Cecilia Forlani, appresa la morte del figlio, rimase paralizzata e non parlò più finché visse.  Riposa vicino al figlio nel cimitero veronese. Sul loculo di Boccioni vi compaiono varie scritte, fra le quali quella del famoso collega Gino Severini: «Anche quest’anno ho potuto farti una visitina caro Umberto. L’anno venturo chissà. Intanto le nostre cose vanno bene, abbiamo vinto caro e vecchio milite. Ciao forse a presto. | Settembre 1956 tuo Gino Severini».

La tomba di Boccioni al Cimitero Monumentale di Verona
La posizione della tomba al Cimitero Monumentale di Verona

Sulla sua lapide sono incisi il cognome e l’epigrafe, che ricorda la sua attività di artista e di patriota. Nella parte superiore c’è lo stemma del Corpo nazionale di volontari ciclisti e automobilisti, realizzato in bronzo. Sulla lastra in marmo si possono leggere le scritte commemorative a lui dedicate da amici, parenti e ammiratori e nel piccolo vaso posto nella parte sinistra della lapide si possono spesso trovare dei pennelli, lasciati da chi fa visita alla tomba di Boccioni in segno di omaggio alla sua attività pittorica

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