Amministrare il rischio

Scegliere per i cittadini, tra realtà e percezione

di Luciano Butti

Luciano Butti è avvocato e docente di Diritto internazionale ambientale presso l’università di Padova

Chiunque amministri una città deve adottare numerose decisioni che interessano la gestione del rischio. Si tratta perciò spesso di fare i conti con due problemi: La differenza fra rischi reali e rischi percepiti; la frequente pretesa di molti cittadini e gruppi che venga perseguito il “rischio zero” (ma solo per i settori cui ciascun richiedente è particolarmente sensibile).
Come si vedrà dagli esempi che seguono, anche a Verona questo tipo di problematiche è importante e causa spesso decisioni non ottimali oppure – ciò che è persino peggio – immobilismo amministrativo.

Rischio reale e rischio percepito

Definisco come “rischio” reale” quello che risulta dal consenso prevalente nella comunità scientifica del settore interessato.
“Rischio percepito” è invece quello ritenuto tale dalla maggioranza, o comunque da vasti settori, dell’opinione pubblica. Il rischio percepito può coincidere con quello reale, ma spesso se ne differenzia, per una serie di ragioni.
Che cosa porta, spesso, il rischio percepito a differenziarsi da quello reale? Le ragioni possono essere molteplici, ed una parte di esse può essere fatta risalire alla propaganda interessata da parte di gruppi portatori di un’agenda ben precisa di obiettivi politici od economici.
Più spesso, tuttavia, la ragione è insieme più semplice da individuare, ma più difficile da contrastare. Siamo tutti naturalmente portati a esagerare l’importanza dei rischi che possiamo attribuire ad un “nemico esterno” ed a sottovalutare invece quella dei rischi che non ci consentono tale operazione (e ciò soprattutto quando diminuire il rischio comporterebbe la modifica di comportamenti assai diffusi fra la popolazione e da essa considerati ‘normali’ o ‘necessari’).

Esempi veronesi

Questa è forse una delle ragioni principali per cui, per esempio in una città come Verona, alcuni rischi ambientali o sanitari vengono sottostimati dalla maggior parte dei cittadini. Vale per i rischi connessi al cambiamento climatico, per quelli derivanti dall’inquinamento atmosferico generato dalle emissioni dei veicoli a combustione, per quelli derivanti dal consumo anche solo moderatamente eccessivo di alcool e per molti altri. Tutti questi rischi sono considerati molto seri dalla comunità scientifica, ma ridurli in modo significativo comporterebbe anche mettere in discussione e modificare una parte dei nostri comportamenti quotidiani. Perciò, tendiamo a sottovalutarli.

La tecnologia 5G

Altri rischi, considerati dalla comunità scientifica come trascurabili o comunque tali da non giustificare paure e blocchi, vengono invece sopravvalutati. Come abbiamo visto in un precedente articolo, questo vale, ad esempio, per la richiesta di “moratoria” cittadina per il 5G, sorprendentemente sostenuta da gran parte delle forze politiche cittadine, nonostante i rilevanti vantaggi che la cd. “Internet delle Cose” consentirebbe. E nonostante gli inviti dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Anci, del Presidente nazionale di Lega Ambiente, della Commissione internazionale indipendente sul tema (ICNIRP) a non farci prendere da paure ingiustificate.

Antenne 5g
La bonifica dell’Arsenale

Non vorremmo che paure ingiustificate si riversassero anche sulla necessaria bonifica di alcuni terreni interni all’Arsenale. Sono in proposito in discussione due modalità operative. Quella che prevede un asporto integrale del terreno contaminato è molto più costosa e comporterebbe l’utilizzo di rilevanti spazi in discariche. Potrebbe aver senso sceglierla solo se la tecnologia della messa in sicurezza attraverso copertura con terreno pulito e presidi aggiuntivi si dimostrasse, sulla base di una valutazione tecnica approfondita, come non sicura (ricordiamo che – per le sostanze implicate – non vi è rischio da inalazione, ma solo da contatto dermico con il terreno).

L”area dell’Arsenale va bonificata
La gestione dei rifiuti

Altro tema di notevole rilevanza cittadina è quello della gestione dei rifiuti. E la penosa situazione in cui si trova Amia, attraversata per lunghi anni da scandali e inefficienze gravi, acuisce la rilevanza del tema. Verona, non essendo in grado di “chiudere il ciclo” in un ambito geografico ragionevole,  ha “esportato” per lunghi periodi, perfino verso la Bosnia, larghe quantità dei propri rifiuti. Questo non ha senso prima di tutto dal punto di vista ambientale: qualcuno ha calcolato, per esempio, le emissioni di gas serra derivanti dal trasporto così lontano di enormi quantitativi di rifiuti?  Ora, è evidente che, pur ampliando e rendendo più efficiente la raccolta differenziata, la necessità di trattare diverse frazioni dei rifiuti in impianti moderni e sicuri permane: e non si può pensare di continuare a farlo a centinaia o migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione. Servirebbero al riguardo amministratori intenzionati a dire la verità ai cittadini piuttosto che a seguirne le paure ingiustificate.

Il “rischio zero”: una pretesa impossibile

La nostra Costituzione non parla espressamente di rischio. Tuttavia il suo disegno complessivo, l’insieme dei suoi articoli, persino tutte le sue virgole contengono un fermo invito a raggiungere il miglior equilibrio possibile fra rischi diversi. Ciò è tanto vero che, nel 2015, la Corte costituzionale, in una famosa sentenza, arrivò a scrivere che, secondo la nostra Costituzione, non esistono “diritti tiranni” (1).  La Corte scrisse proprio così, non esistono diritti tiranni. Nemmeno la salute e la salubrità ambientale lo sono, benché siano della massima importanza. L’espressione è potente e suggestiva, proprio nell’accostamento di un termine positivo (diritti) con un aggettivo (tiranni) che, per la Costituzione, rappresenta il massimo della negatività.

Nemmeno i diritti possono quindi prevaricare altri diritti. Pertanto, in presenza di conflitti fra rischi diversi, la pretesa di perseguire in un solo settore il ‘rischio zero’ è incostituzionale. Ma vi è di più. Perseguire il “rischio zero” per un aspetto della vita o della tecnologia può portare a effetti collaterali importanti in altri settori (“effetto galleria”). Il primo a parlare in modo esplicito e autorevole dell’effetto galleria – e a descriverne i rischi – fu Stephen Breyer, un apprezzatissimo giudice della Corte suprema degli Stati Uniti d’America. Lo fece in un piccolo libro (2) nel quale si parla, ad alto livello e nelle stesse pagine, di diritto e di scienza: non accade frequentemente.

L’effetto galleria si verifica quando i decisori politici pretendono di gestire un rischio senza considerare gli effetti collaterali, o “Trade-off” (3), che le misure di contenimento comportano su altri aspetti della vita sociale. Vi è una circostanza particolare da considerare, ben spiegata da Breyer: il costo economico e sociale delle misure di contenimento di un rischio aumenta in modo sempre più esponenziale ma mano che si progredisce nel contenimento di quel rischio. In parole semplici, quando due rischi sono in conflitto, più ci si avvicina alla perfezione nel fronteggiare il rischio A, più le (ulteriori) misure di contenimento si rivelano dannose rispetto al rischio B. E viceversa.

Conclusioni

Amministrare seriamente una città comporta trattare i cittadini da adulti responsabili. Comporta non seguirne necessariamente le paure ingiustificate. Comporta adottare scelte coraggiose, che tengano conto dell’interesse della città e non della probabilità di rielezione. Verona non ha memoria di una classe politica orientata in questa direzione. Occorre cambiare passo.

(1) Corte cost. n. 85/2013 (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2013&numero=85).

(2) Breyer S., Breaking the Vicious Circle. Toward Effective Risk Regulation, Harvard University Press, 1995 (https://www.hup.harvard.edu/catalog.php?isbn=9780674081154).

(3) Del “Risk Trade-Off” ho scritto in Butti L., The Precautionary Principle in Environmental Law, Giuffré, 2007 (https://shop.giuffre.it/the-precautionary-principle-in-environmental-law.html).

Un commento su “Amministrare il rischio

  1. Sono ormai due anni che non abito più a Verona. Vedo che la “situazione Arsenale” é sempre allo stesso punto. Ricordo di aver letto in passato i risultati di analisi del terreno contaminato: se ben ricordo, dicevano esattamente quanto hai riportato sopra, quindi credo che ci riferiamo allo stesso documento. In sintesi: i metalli pesanti sono presenti in quantità modeste in superficie. Quindi, non c’è mai stato alcun pericolo nel passeggiare sull ‘erba, con l’unica accortezza di non togliersi scarpe e calze, e poi strofinarvi i piedi con una determinazione continuata nel tempo. Sconsigliata era pure l’ingestione, ma qui entriamo veramente nella patologia psichica grave.
    Mi sono sempre chiesto, in conseguenza, perché recintare uno dei pochi spazi verdi della zona, quando bastava un cartello con le indicazioni di cui sopra.
    Poi ho letto del bel progetto di Tosi di “regalare” l’area a privati per un uso sostanzialmente commerciale: confesso che ho fatto dei cattivi pensieri, mettendo in relazione un allarme esagerato, delle proibizioni di accesso isteriche e il concomitante progetto in divenire.
    In fondo é sempre lo stesso meccanismo: creiamo ansia per un pericolo inesistente, poi sfruttiamo lo stato d’animo creato per i nostri fini.
    Mi sconforta sapere che le cose siano sempre allo stesso punto.

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