Il Giorno del Ricordo a Verona. Dalla strada alle Istituzioni, un paradigma negativo

Il caso Eric Gobetti-Liceo Copernico Pasoli. Le violenze dei fascisti. Il comportamento del Sindaco. Le contraddizioni dell’Ufficio scolastico provinciale. Le questioni di merito: intervista a Stefano Biguzzi. Dalla storia ad un contraddittorio relativistico. L’ignavia della Rete di scuole. Degno finale: lo storico Gobetti rinuncia.

di Alberto Battaggia

Sullo stesso argomento Vedi anche “10 Febbraio. La coazione a ripetere, di Carlo Saletti”

Ci sembrerebbe ipocrita, proprio per l’importanza della ricorrenza, sorvolare su quello che accade, in una città come la nostra, quando si affronta il tema delle Foibe. Gli eventi di ieri, nella loro grottesca articolazione, dalla strada alle istituzioni, rappresentano un vero e proprio paradigma negativo del Giorno del Ricordo. Un modello di svilimento di una tragedia che, oggetto di una insopportabile contesa politico-ideologica, perde tutta la sua drammatica specificità.

La strada

Partiamo dalla strada. Come ci raccontano i media sembra che “Blocco studentesco”, emanazione di Casa Pound – il fior fiore dell’estremismo nero cittadino – affigga dei manifesti dedicati alle Foibe che coprono quelli dell’Anpi che pubblicizza l’incontro con lo storico Eric Gobetti, invitato dal Liceo Copernico Pasoli per parlare ai ragazzi delle Foibe. Una giovane donna cerca di staccarli: intervengono i tre attacchini, ancora nei paraggi, e la minacciano. Un cittadino li invita allora alla calma e riceve da costoro una gragnuola di pugni che lo portano all’ospedale. Che dire? Feccia, gentaglia. Li conosciamo: i giovani fascisti veronesi fanno così da generazioni. Ma è un episodio grave.

Istituzione n.1 – Il sindaco

Istituzione numero 1. Il Sindaco della città, Fedrico Sboarina, riceve una lettera dal presidente dell’Associazione Venezia Giulia Dalmazia Renzo Codarin che gli esprime “disappunto” per l’invito a Verona di Eric Gobetti. E lui che fa? Chiede, nemmeno fosse il Podestà, “spiegazioni” al dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale Sebastian Amelio, Il quale, purtroppo, gliele fornisce.

Istituzione n.2 – L’Ufficio scolastico provinciale

Il dr. Amelio, sfidando il principio di non contraddizione, da una parte ricorda che le iniziative delle scuole sono “autonome”, dall’altra prescrive che la giornata debba coinvolgere “una pluralità di esperti” (che intenda degli “storici” o vanno bene anche dei vattelapesca?) e le “rappresentanze associative degli esuli”. Traduciamo: tanti “esperti” che dicono la stessa cosa? Un esperto che afferma e uno che nega? Uno che dice “massimo 3000 morti”! E l’altro: “se consideriamo anche i fucilati arriviamo a 30 mila”! Siamo alla follia. E poi i testimoni: forse per contribuire alla ricostruzione degli eventi con obiettività e distacco? Stiamo scherzando? I testimoni o i loro successori sono emotivamente tanto efficaci nelle occasioni pubbliche quanto fatalmente parziali e soggettivi, avendo un vissuto – rispettabilissimo, ci mancherebbe – che spesso, come ben sa chi si occupa di storia orale, reclama spazi prepotenti. Come pensare di giostrare tra queste contraddizioni per di più davanti a dei ragazzi?

Istituzione n.3. Il Liceo Copernico Pasoli e la Rete delle 65 scuole ad esso afferenti.

Constate le preoccupazioni e le prescrizioni del Sindaco e del dirigente scolastico provinciale, che fanno gli organizzatori? Decidono, incredibilmente, di dare ragione al sindaco e al dr. Amelio, accettando di affiancare al povero Gobetti l’assessore alla cultura nonché ex presidente dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia Francesca Briani; il docente del Liceo Agli Angeli Riccardo Mauroner e, dulcis in fundo, il giornalista Fausto Biloslavo. Accettano , cioè, di trasformare una momento di approfondimento storico permesso dalla presenza di un professionista – Eric Gobetti – in una sorta di dibattito relativistico tra stakeholders di varia natura e interessi.

La “colpa” di Eric Gobetti

Cerchiamo di fissare alcuni punti. Perché ce l’hanno tutti con Gobetti? Il complesso tema delle “Foibe” pone storiograficamente, tre questioni essenziali: 1) il peso avuto dall’italianizzazione forzata della Slovenia durante l’occupazione fascista nell’alimentare, tra i partigiani comunisti titini, un odio antitaliano, oltre che antifascista; 2) la dimensione numerica “esatta” dei massacri, oggetto di sole stime per carenza di fonti storiografiche certe: 5000? 10.000? 15.000?; 3) il carattere “genocidiario” o meno della vicenda,  secondo la nozione di “genocidio” fissata  dalla riflessione giuridica e storiografica internazionale del secondo dopoguerra.

Lo storico Eric Gobetti

Come è intuibile, a seconda del “peso” che si dà ai tre punti citati, la ricostruzione di quelle drammatiche vicende acquista, un taglio diverso. Eric Gobetti è uno storico rispettato, non è affatto un “negazionista”. E’ vero semmai che nelle sue opere Gobetti tende a “normalizzare” quelle vicende inserendole tra altre -altrettanto terribili – accadute nell’inferno della Seconda Guerra mondiale. Una posizione discutibile, legittima, e molto poco apprezzata dalla cultura di certa “destra”. Di qui le vivacissime reazioni e a quella “sindrome vittimistica” sulla quale si sofferma Carlo Saletti nell’altro intervento, “10 Febbraio. La coazione a ripetere”, che abbiamo dedicato al tema.

LA PAROLA ALLO STORICO

Ha fondamento l’accusa allo storico Eric Gobetti di essere un “negazionista” della tragedia delle “Foibe”?

No, non è un’accusa sensata a meno che, artatamente e per strumentalizzazioni politiche, non si voglia far passare contestualizzione e verifica dei fatti per negazionismo. Con le debite proporzioni tra i due autori, le accuse a Gobetti ricordano quelle di cinquant’anni fa a De Felice, tacciato assurdamente di fascismo per il solo fatto di aver cercato di inquadrare Mussolini e il regime in una cornice interpretativa più ampia e complessa di quella in auge fino ad allora.

La italianizzazione forzata della Slovenia da parte dell’esercito fascista va considerato un fatto imprescindibile per comprendere le ragioni degli eccidi del 1943 e del 1945?

L’italianizzazione forzata e i crimini commessi dall’Esercito Italiano nelle operazioni di controguerriglia in Slovenia e Montenegro sono sicuramente elementi cruciali per comprendere foibe e esodo ma non sono gli unici da tenere in considerazione perché, quanto avvenuto, da un lato affonda le radici in tensioni etniche che si erano generate ben prima del fascismo, dall’altro è il prodotto di prassi collegate all’instaurarsi di un regime totalitario comunista.

La nozione di “genocidio”, come definita dalla riflessione giuridica e storiografica internazionali, si presta all’interpretazione di quelle vicende?

Il genocidio, come ampiamente dimostrato dagli studi di Raoul Pupo, non è una categoria che si possa applicare alle foibe. L’equivoco nasce dal fatto che, per la struttura sociale dell’area giuliano-dalmata, i soggetti da eliminare in quanto ascrivibili alla categoria di “nemici del popolo”, appartenevano per la stragrande maggioranza alla componente italiana. A riprova della non validità della categoria genocidiaria c’è poi l’accoglienza offerta a italiani che volevano restare o trasferirsi nel “paradiso socialista” jugoslavo. Nel caso di un genocidio non ci sarebbe stata fede politica in grado di far derogare alla cancellazione dell’etnia nemica.

Il fatto che non si sia trattato di un genocidio attenua le responsabilità dei carnefici e la drammaticità di quegli eventi?

Naturalmente il non configuarsi di un profilo genocidiario non riduce in niente e per niente le responsabilità di chi ha praticato uccisioni di massa e esodi forzati così come non sminuisce in niente e per niente la tragedia di chi ha subito quelle violenze.

Come giudica l’istituzione, accanto alla Giornata della Memoria dedicata alla Shoah, del Giorno del Ricordo dedicato alla tragedia delle “Foibe”?

L’istituzione del Giorno del Ricordo che era senza dubbio un atto dovuto per preservare la memoria di eventi troppo a lungo colpevolmente rimossi, ha patito fin da subito e, in parte, già nelle volontà di alcuni tra i suoi promotori, la strumentale distorsione di chi ha pensato di usarla come bilanciamento della Giornata della Memoria. Niente di piu insensato. Foibe vs Shoah è letteralmente un assurdo storico, pericoloso, offensivo e diseducativo

Stefano Biguzzi

Stefano Biguzzi, storico dell’età contemporanea di scuola liberale, è il presidente dell’Istituto veronese di storia della resistenza e dell’età contemporanea.Tra le sue ricerche, “Cesare Battisti” , la monumentale biografia dedicata al più famoso patriota italiano pubblicata da Utet nel 2012; e “L’ orchestra del duce. Mussolini, la musica e il mito del capo”, Utet, 2003, una attenta analisi delle politiche culturali del capo del fascismo in campo musicale.

Diremo ora, per inciso, una cosa antipatica: come stupirsi? Viene da chiedere ai responsabili della scuola: proprio Gobetti dovevate chiamare? Perché il contesto non era quello di una discussione accademica, ove si possono incontrare sciabole e fioretti ben affilati, ma il Giorno del Ricordo, una ricorrenza solenne, alla celebrazione della quale la legge pone esplicite finalità educative, volte a garantire che quel dramma feroce assuma adeguata considerazione nella coscienza civica delle nuove generazioni. Perché invitare uno storico che, di fatto, giusto o sbagliato che sia, tende a ridimensionare la portata di quegli eventi?

Tuttavia, fatta la scelta, ripeto, culturalmente, eticamente e storiograficamente legittima di invitare Eric Gobetti, un’stituzione appunto “educativa” come una scuola, per di più capofila di una possente rete di altri 65 istituti, comprendente perciò migliaia di studenti, avrebbe dovuto avere la dignità di difenderla, e di dimostrare, con la forza della ragione, delle competenze, della professionalità dei suoi docenti, la bontà della scelta fatta e le indegne strumentalizzazioni, dalla strada alle istituzioni, a cui essa è stata sottoposta.

Un messaggio di incertezza, confusione ed ignavia

Quale messaggio arriverà ai ragazzi se non quello di un mondo adulto confuso, ipocrita, incerto di quello che fa, traballante tra la voglia di affermare solenni principi educativi e la paura di scontentare la comunità alla quale si appartiene?

PS. Come è finita? Non si fa più niente. Gobetti, disgustato, rinuncia

Apprendiamo, stamattina, che il copione si è concluso altrettanto degnamente di come è iniziato: non se ne fa più nulla. Senza parole.

2 commenti su “Il Giorno del Ricordo a Verona. Dalla strada alle Istituzioni, un paradigma negativo

  1. Caro Alberto, ho apprezzato il tuo articolo. Però quando poi ti chiedi e chiedi se era il caso di chiamare proprio Gobetti, mandi a ramengo tutto il ragionamento per accertare le sue credenziali accademiche e scientifiche. A questo punto, prima di invitare qualcuno a parlare in una scuola o all’università, tanto vale chiedere a Casa Pound se lo gradiscono, e così si risparmiano tempo e arrabbiature.

    1. Ciao Carlo. Conosco molto bene l’ambiente scolastico e potrei descrivere la discussione che si è avuta sull’argomento anche nei particolari, pur non essendo stato presente, ovviamente. Ma lasciamo perdere. Le cose stanno diversamente. Il punto è molto semplice. Gobetti è uno storico che tende a ridimensionare la portata degli avvenimenti rispetto ad altri suoi colleghi. E’ legittimo, quanto notorio. Quindi il team che ha fatto la proposta, escludendo che si tratti di sprovveduti, non può non sapere che in una città come la nostra – dove esiste una nutrita comunità composta da discendenti di profughi giuliani, che non la pensano tutti allo stesso modo, ma che sono giustificatamente ipersensibili sull’argomento; e dove forze politiche di destra estrema sono addirittura a Palazzo Barbieri – saranno inevitabili delle reazioni e una forte pressione dell’ambiente. Tuttavia, il team fa una scelta: e fa bene a farla, nel momento in cui crede che questa sia la soluzione più opportuna scientificamente ed educativamente. Ma poi occorre assumersene la responsabilità. Invece, quando arrivano le prevedibilissime reazioni, non solo non viene difesa la fondatezza della propria scelta, ma la si svilisce, accettando un grottesco contraddittorio sul tema, condotto, peraltro, non con altri storici – almeno si sarebbe potuto dire: “dibattito storiografico” – ma con altre “parti” in causa: giornalistiche, post-testimoniali, didattiche, trasformando la riflessione in un guazzabuglio relativistico. Perché non invitare anche un sacerdote: forse che in una tragedia del genere la cosiddetta “spiritualità” non meriterebbe un posticino? E anche un sondaggista: “chi vota per 5000 morti? chi per 15.000?”. Che messaggio mai arriverà agli studenti? Che quella delle foibe sia una questione meramente legata alla “narrazione” politica del momento, al “punto di vista”, all’ “interesse in gioco”? Per questo, vista l’inadeguata gestione del post-scelta, mi sarei permesso di consigliare loro un nome meno impegnativo: non per scaltrezza, ma per consapevolezza dei propri mezzi. Un caro saluto. Alberto Battaggia

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